Disintossicazione e peso forma
E' facile trovarsi addosso qualche chilo di troppo, non a caso la nostra epoca di consumismo, anche alimentare, vede il proliferare di diete di ogni tipo.
Un vero e proprio business di proposte dietetiche che non accenna a demordere e interessa tutto l'Occidente. Se l'obesità è un grave problema, che ha trovato condizioni ottimali di diffusione nella società del benessere (in Italia un bambino su sette è obeso), la fatica a mantenere il peso forma è meno grave ma comune a molti. Da noi, circa la metà della popolazione adulta ha problemi di sovrappeso. E' risaputo che si ingrassa se si mangia più del necessario, ma quanti sanno che è anche fondamentale associare bene i cibi per digerire e assimilare il più velocemente possibile?
Il peso forma si perde ingerendo troppe calorie, ma anche mangiando male, cioè in maniera scombinata. C'è un nesso molto importante, di cui poco si dice, tra accumulazione di scorie tossiche e adipe. Una digestione difficile e lunga produce un surplus di tossine. Il cibo fermenta e imputridisce lungo il tubo digerente libera gas e acidi tossici cui non sempre l'organismo riesce a far fronte.
Se le tossine non vengono eliminate in breve tempo, vengono immagazzinate soprattutto nei tessuti adiposi di cosce, natiche e giro vita (il nostro corpo è così saggio da tenerle lontane dagli organi interni). Nel tentativo di neutralizzare l'aumento di acidità che accompagna queste situazioni, si verifica una ritenzione di liquidi che inevitabilmente si traduce in gonfiore e peso in più. Un accumulo di scorie tossiche crea dunque i presupposti per un aumento di peso. Anche per chi ha problemi di tipo opposto, cioè di eccessiva magrezza, ha significato parlare di corrette associazioni alimentari. Non solo per i generali riflessi positivi sulla salute e il funzionamento dell'organismo, ma anche per una ragione relativa al peso ideale. E' facile capire che l'assimilazione dei cibi è favorita notevolmente da una migliore digestione: le particelle non digerite saranno ridotte al minimo e un utilizzo completo degli alimenti riequilibrerà il peso corporeo.
Digerire
Ogni processo di digestione e assimilazione è costituito da decine di reazioni chimiche concatenate le une alle altre.
L'intelligenza organizzativa del nostro corpo programma tutto questo e si adegua ai compiti diversi che gli affidiamo quando mangiamo un cibo piuttosto che un altro. Un boccone di pane richiede una diversa elaborazione chimica rispetto a un cucchiaio di zucchero: l'esito rappresenta anche un diverso risultato per l'organismo, per il nostro corpo. Il pane, cibo a prevalenza di carboidrati complessi, aumenta le scorte di energia; lo zucchero, soprattutto se assunto da solo, innalza repentinamente il livello glicemico del sangue. Ogni alimento, scomposto, trattato e infine reso disponibile all'assimilazione dall'apparato digerente, diventa parte di noi stessi.
E' facile allora capire la frase di G. Ohsawa: “Siamo quello che mangiamo”.
Per quanto paradossale possa sembrarci, non possiamo non ammettere che quello che mangiamo finisce per diventare parte del nostro corpo. E' una verità tanto complessa quanto semplice e quotidiana. Il nostro corpo si rinnova di continuo, il cibo, debitamente trasformato da quel complesso laboratorio biochimico che è l'apparato digerente, viene utilizzato per questa ininterrotta opera di ricostruzione.
Riassumendo:
Meno tossine si producono, meno ci si gonfia;
Eliminare tossine vuol dire anche sgonfiarsi e perdere peso;
Disintossicarsi significa anche dimagrire.
Perchè l'organismo è intossicato?
Stress;
Aria e acqua inquinate;
Scarso movimento;
Assunzione di troppi cibi concentrati e acidificanti;
Scarsa assunzione di cibi acquosi e alcalinizzanti;
Errate associazioni alimentari;
Intolleranze alimentari.
La qualità del cibo
E' importante mangiare genuino e questa consapevolezza si sta radicando in modo sempre più esteso.
Gli alimenti hanno raggiunto un tale livello di manipolazione che a volte risulta difficile riconoscerne le caratteristiche organolettiche (odore, sapore, colore e simili). Anche il modo di lavorare la terra influisce sulla qualità dei prodotti e non dobbiamo stupirci se le mele non hanno più profumo, i pomodori non sanno di niente, le coste, o le biete, hanno forme mastodontiche. Se il cibo che introduciamo quotidianamente è povero dal punto di vista nutrizionale, anche il nostro corpo ne farà le spese. Le molte sostanze vitali (enzimi, vitamine, sali minerali ecc) andate perdute in crescite forzate, in processi di raffinazione e conservazione, saranno perse anche per il nostro organismo, le cui difese risultano sempre più compromesse.
Il mito della qualità
Ancora oggi esiste la paura di non nutrirsi in maniera sufficiente. Paura atavica, residuo di un passato in cui si è realmente conosciuta l'indigenza.
Si mangia molto e si dà molto da mangiare ai bambini con l'intento di scongiurare ignote carenze. Ci si ingozza letteralmente (e si tenta di ingozzare i figli) con la presunzione di fortificare le difese del proprio organismo, di essere “più robusti”, come si dice. In realtà ogni individuo necessità di una personale razione alimentare giornaliera che consiste nell'insieme dei principi alimentari forniti quotidianamente dai cibi, corrispondenti alle necessità proteiche, idriche, vitaminiche e minerali di ciascuno.
Purtroppo l'esito di eccessi alimentari sortisce l'effetto contrario: obesità, scompensi e squilibri di varia natura, malattie degenerative del benessere quali diabete e ipertensione. Le indagini condotte, le conclusioni di molti studi e ricerche non lasciano dubbi: la nostra società è caratterizzata da ipernutrizione (eccesso di nutrizione), che è contemporaneamente denutrizione (malnutrizione). Abbiamo molto a disposizione fuori dalla porta di casa e abbiamo i mezzi per acquistarlo, ma per lo più ci viene proposto un cibo devitalizzato.
Alimenti conservati = vita spenta.
Alimenti raffinati, sterilizzati, inscatolati da mesi = vitamine bruciate, oligoelementi perduti.
Vecchio standard: primo, secondo e dessert
Il modello di pasto completo di gran lunga più diffuso racchiude una pessima associazione alimentare. Vediamone le ragioni.
La pasta (carboidrati complessi) raggiunge lo stomaco dopo essere stata brevemente elaborata durante la masticazione da un enzima contenuto nella saliva: la ptialina. L'azione di questo debole ma efficace fermento prosegue nello stomaco per circa due ore se il cibo è stato ben insalivato e se le condizioni ambientali sono favorevoli, cioè debolmente alcaline. Tali condizioni sono assicurate dai succhi gastrici che di volta in volta, a seconda dell'alimento da digerire, mutano la loro composizione chimica. Con un meccanismo di tempestività eccezionale, la nostra pasta (ormai trasformata in chimo) ha fatto secernere con la sua sola presenza proprio le sostanze giuste per essere digerita.
Quando però viene ingerito il secondo piatto, la carne, molte condizioni cambiano improvvisamente perché le proteine della carne hanno esigenze opposte, per essere digerite, rispetto agli amidi della pasta.
Nuovi enzimi vengono attivati, e questa volta si gratta di enzimi specifici per la scissione delle proteine in aminoacidi (pepsina);
Viene richiamato acido cloridrico delle cellule dello stomaco;
Cambia il pH: l'ambiente diventa acido;
L'elaborazione dei carboidrati è momentaneamente sospesa;
Tra ordini e contrordini, la massa di chimo rimane nello stomaco più del dovuto e, finché la carne non ha abbandonato lo stomaco, la pasta non passa.
Il dolce a fine pasto non fa che peggiorare i conflitti esistenti. Gli zuccheri semplici in esso contenuti, non avendo bisogno di subire alcuna elaborazione enzimatica a livello gastrico, dovrebbero passare dritti nell'intestino per essere scomposti in monosaccaridi e assorbiti attraverso le pareti intestinali. Se però il percorso è ostruito dalla presenza di altro cibo con esigenze contrastanti, anche gli ultimi arrivati fermentano e contribuiscono ad aumentare il disagio.
Il caffè, da parte sua, non contribuirà minimamente a far digerire. Innalza il livello di acidità già esistente e dà una sferzatina al sistema nervoso. Non contribuisce quindi all'accelerazione del processo digestivo ma semplicemente copre un sintomo di disagio: pesantezza, sonnolenza e torpore dopo pranzo sono infatti i tipici sintomi di fatica digestiva.
Cosa accompagnare alla pasta? Abbiamo voglia di spaghetti al pomodoro, di tagliatelle ai funghi, di conchiglie al pesto? Non si tratta di rinunciarvi, anche perché la pasta fa veramente bene, impariamo però ad accompagnarla diversamente.
Non la mangeremo assieme alla carne, che potrà eventualmente diventare il piatto forte del pasto successivo.
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Operatore specializzato Luigina Bernardi
Bibliografia
- Rimedi naturali, 2001, “Combinazioni alimentari. Salute è...associare correttamente gli alimenti”, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze su licenza di Demetra srl.